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Il pensiero di Benedetto XVI
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Quaranta giorni con Gesù
[...] Questo e un tempo favorevole in cui la Chiesa invita i cristiani a prendere più viva consapevolezza dell'opera redentrice di Cristo e a vivere con più profondità il proprio Battesimo. In effetti, in questo periodo liturgico il Popolo di Dio fin dai primi tempi si nutre con abbondanza della Parola di Dio per rafforzarsi nella fede, ripercorrendo l'intera storia della creazione e della redenzione.
Nella sua durata di quaranta giorni, la Quaresima possiede un'indubbia forza evocativa. Essa intende infatti richiamare alcuni tra gli eventi che hanno scandito la vita e la storia dell'Antico Israele, riproponendone anche a noi il valore paradigmatico: pensiamo, ad esempio, ai quaranta giorni del diluvio universale, che sfociarono nel patto di alleanza sancito da Dio con Noe, e cosi con l'umanità, e ai quaranta giorni di permanenza di Mose sul Monte Sinai, cui fece seguito il dono delle tavole della Legge. II periodo quaresimale vuole invitarci soprattutto a rivivere con Gesù i quaranta giorni da Lui trascorsi nel deserto, pregando e digiunando, prima di intraprendere la sua missione pubblica. Anche noi quest'oggi intraprendiamo un cammino di riflessione e di preghiera con tutti i cristiani del mondo per dirigerci spiritualmente verso il Calvario, meditando i misteri centrali della fede. Ci prepareremo cosi a sperimentare, dopo il mistero della Croce, la gioia della Pasqua di risurrezione.
da Il Settimanale di Padre Pio Udienza, 1 marzo 2006
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Il cielo è sceso sulla terra
[...] Origene [...] dice: «Non potrai salvare questa miseria che e l'uomo, se tu stesso non la prendi su di te. "Signore, piega il tuo cielo e scendi". La tua pecora sbandata non potrà guarire se non sara messa sulle tue spalle... "Signore piega il tuo cielo e scendi"... Sei disceso, hai abbassato i cieli e hai steso la tua mano dall'alto, e ti sei degnato di prendere su di te la carne dell'uomo, e molti credettero in te».
Per noi cristiani Dio non e più, come nella filosofia precedente il cristianesimo, una ipotesi ma e una realtà, perché Dio «ha piegato il cielo ed e sceso». II cielo e Egli stesso, ed e sceso in mezzo a noi. Giustamente Origene vede nella parabola della pecorella smarrita, che il pastore prende sulle sue spalle, la parabola dell'Incarnazione di Dio. Si, nell'Incarnazione Egli e sceso e ha preso sulle sue spalle la nostra carne, noi stessi. Cosi la conoscenza di Dio e divenuta realtà, e divenuta amicizia, comunione. Ringraziamo il Signore perché «ha piegato il suo cielo ed e sceso», ha preso sulle sue spalle la nostra came e ci porta sulle strade della nostra vita.
[...] accanto a noi c'è il Dio Emmanuele, che per il cristiano ha il volto amoroso di Gesù Cristo, Dio fatto uomo, fattosi uno di noi.
da Il Settimanale di Padre Pio Udienza, 11 gennaio 2006
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Martire per la verita
[...] «Ho combattuto la buona battaglia» [...]. in forza di parole come queste, Paolo e stato volentieri descritto come un combattente, come un uomo d'azione, anzi, come un violento.
Tutto questo non è falso, ma non è Paolo nella sua interezza [...] la battaglia di san Paolo non fu quella di un carrierista, di un uomo di potere, men che meno quella di un conquistatore e di un dominatore. La sua fu la battaglia di un martire, fin dall'inizio. Detto con più precisione: all'inizio del suo cammino era stato un persecutore e aveva usato violenza contro i cristiani. Dal momento della sua conversione era passato dalla parte del Cristo crocifisso e aveva scelto lui stesso la via di Gesu Cristo. Non era un diplomatico [...]. Era un uomo che non aveva altra arma che il messaggio di Cristo e l'impegno della sua stessa vita per questo messaggio. [...] era un uomo disposto a lasciarsi ferire e proprio questa era la sua vera forza. Non ha protetto se stesso [...], ha fatto proprio il contrario.
[...] Ora dobbiamo aggiungere: la sofferenza e la verita vanno sempre insieme. Paolo fu combattuto perché era un uomo della verità [...] egli ha servito la verità e ha sofferto per essa.
da Immagini di speranza 22/01/2006
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Il silenzio di san Giuseppe
[...] Lasciamoci contagiare dal silenzio di san Giuseppe! Ne abbiamo tanto bisogno, in un mondo spesso troppo rumoroso, che non favonsce il raccoglimento e l'ascolto della voce di Dio. [...] In questo tempo di Natale, coltiviamo il raccoglimento interiore, per accogliere e custodire Gesù nella nostra vita.
[...] Un silenzio grazie al quale Giuseppe, all'unisono con Maria, custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza.
[...] Non si esagera se si pensa che proprio dal padre, Giuseppe, Gesù abbia appreso sul piano umano quella robusta interiorità che è presupposto dell'autentica giustizia, la giustizia superiore, che Egli un giorno insegnerà ai suoi discepoli.
da Immagini di speranza 18/12/2005
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L'elemento vitale della Chiesa
La Trinità non può essere pensata come una serie di presenze parallele e
simmetriche. Lo Spirito Santo non è una entità isolata e isolabile. La sua
natura è di rinviarci all'unità del Dio trinitario. Se nella storia della
salvezza, che noi ripercorriamo da Natale a Pasqua, il Padre e il Figlio
appaiono l'uno di fronte all'altro, nella missione e nell'obbedienza, lo
Spirito Santo non si pone come una terza persona accanto o in mezzo a loro:
egli ci porta all'unità di Dio. Guardare a lui significa superare la semplice
contrapposizione e riconoscere il cerchio dell'eterno amore, che è l'unità
suprema. Chi vuole parlare dello Spirito Santo, deve parlare della Trinità di
Dio..lo Spirito ci insegna a vedere Cristo totalmente inscritto nel mistero del
Dio trinitario: come la nostra via verso il Padre, in un ininterrotto dialogo
d'amore con lui. Lo Spirito Santo rinvia alla Trinità, e proprio in questo modo
rinvia anche a noi. Il Dio trinitario è infatti l'archetipo dell'umanità nuova,
riunificata; l'archetipo della Chiesa, . ma se lo Spirito Santo esprime ed è
l'unità di Dio, allora è lui è l'elemento vitale della Chiesa.
da Immagini di speranza 13/01/2006
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Vita nuova in Cristo
Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo
siamo realmente! (1 Gv 3,1) Si, diventare santi significa realizzare pienamente
quello che già siamo in quanto elevati, in Cristo Gesù, alla dignità di figli
adottivi di Dio (cfrEf 1,5; Rm 8,14-17). Con l'incarnazione del Figlio, la sua
morte e risurrezione, Dio ha voluto riconciliare a Sé l'umanità ed aprirla alla
condivisione della stessa sua vita. Chi crede in Cristo Figlio di Dio rinasce
"dall'alto", è come rigenerato per opera dello Spirito Santo (cfr Gv 3,1-8)
Questo mistero si attua nel sacramento del Battesimo, mediante il quale la
madre Chiesa dà alla luce i "santi". La vita nuova, ricevuta nel Battesimo, non
è soggetta alla corruzione e al potere della morte. Per chi vive in Cristo la
morte è il passaggio dal pellegrinaggio terreno alla patria del Cielo, dove il
Padre accoglie tutti i suoi figli, "di ogni nazione, razza, popolo e lingua",
come leggiamo oggi nel Libro dell'Apocalisse (7,9). La "comunione dei santi",
che professiamo nel Credo, è una realtà che si costruisce quaggiù, ma che si
manifesterà pienamente quando noi vedremo Dio "così come egli è (1 Gv 3,2) E'
la realtà di una famiglia legata da profondi vincoli di spirituale solidarietà,
che unisce i fedeli defunti a quanti sono i pellegrini nel mondo. Un legame
misterioso ma reale, alimentato dalla preghiera e dalla partecipazione al
sacramento dell'Eucarestia.
Angelus, 1 novembre 2005
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La regalità di Cristo
Fin dall'annuncio della sua nascita, il Figlio unigenito del Padre, nato dalla
Vergine Maria, viene definito "re" nel senso messianico, cioè erede del trono
di Davide, secondo le promesse dei profeti, per un regno che non avrà fine. La
regalità di Cristo rimase del tutto nascosta, fino ai suoi trent'anni,
trascorsi in un'esistenza ordinaria a Nazaret. Poi, durante la vita pubblica,
Gesù inaugurò il nuovo Regno, che "non è di questo mondo" (Gv 18,36), ed alla
fine lo realizzò pienamente con la sua morte e resurrezione. Apparendo risorto
agli Apostoli disse : " Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt
28,18): questo potere scaturisce dall'amore, che Dio ha manifestato in pienezza
nel sacrificio del suo Figlio. Il Regno di Cristo è dono offerto agli uomini di
ogni tempo, perché chiunque crede nel Verbo incarnato "non muoia, ma abbia la
vita eterna2 (Gv 3,16). Per questo, proprio nell'ultimo Libro della Bibbia,
l'Apocalisse, Egli proclama: " Io sono l'Alfa e l'Omega, il principio e la
fine" "p 22,13). La Vergine Maria, che Dio ha associato in modo singolare alla
regalità del suo Figlio, ci ottenga di accoglierlo come Signore della nostra
vita, per ccoperare fedelmente all'avvento del suo Regno di amore, di giustizia
e di pace.
Angelus, 20 novembre 2005
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Angelus
Fin dall'annuncio della sua nascita, il Figlio unigenito del Padre, nato dalla
Vergine Maria, viene definito "re" nel senso messianico, cioè erede del trono
di Davide, secondo le promesse dei profeti, per un regno che non avrà fine. La
regalità di Cristo rimase del tutto nascosta, fino ai suoi trent'anni,
trascorsi in un'esistenza ordinaria a Nazaret. Poi, durante la vita pubblica,
Gesù inaugurò il nuovo Regno, che "non è di questo mondo" (Gv 18,36), ed alla
fine lo realizzò pienamente con la sua morte e resurrezione. Apparendo risorto
agli Apostoli disse : " Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt
28,18): questo potere scaturisce dall'amore, che Dio ha manifestato in pienezza
nel sacrificio del suo Figlio. Il Regno di Cristo è dono offerto agli uomini di
ogni tempo, perché chiunque crede nel Verbo incarnato "non muoia, ma abbia la
vita eterna2 (Gv 3,16). Per questo, proprio nell'ultimo Libro della Bibbia,
l'Apocalisse, Egli proclama: " Io sono l'Alfa e l'Omega, il principio e la
fine" (p 22,13). La Vergine Maria, che Dio ha associato in modo singolare alla
regalità del suo Figlio, ci ottenga di accoglierlo come Signore della nostra
vita, per ccoperare fedelmente all'avvento del suo Regno di amore, di giustizia
e di pace.
Angelus, 20 novembre 2005
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La conoscenza delle vere cause
I milioni di persone, che sono minacciate nella loro stessa esistenza, in
quanto private del minimo nutrimento necessario, richiedono l'attenzione della
Comunità internazionale, poiché abbiamo tutti il dovere di prenderci cura
dei nostri fratelli. In effetti, la carestia non dipende unicamente dalle
situazioni geografiche e climatiche o dalle circostanze sfavorevoli legate
ai raccolti. Essa è anche provocata dall'uomo stesso e dal suo egoismo che si
traduce in carenze nell'organizzazione sociale, nella rigidità di
strutture economiche troppo spesso dedite unicamente al profitto, e anche in
pratiche contro la vita umana e in sistemi ideologici che riducono la persona,
privata della sua dignità fondamentale, a un mero strumento. L'autentico sviluppo
mondiale, organizzato e integrale, che è auspicato da tutti, esige al
contrario di conoscere in modo obiettivo le situazioni umane, di individuare le vere
cause della miseria e di fornire risposte concrete, ponendosi, come
priorità, una formazione adeguata delle persone e delle comunità. In tal modo
saranno messe in atto la libertà autentica e la responsabilità, che sono proprie
dell'agire umano. Il progresso tecnico sarà realmente efficace solo se
troverà il proprio nposto in una prospettiva più vasta, dove l'uomo è al centro,
preoccupandosi di tener conto dell'insieme dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni.
GM dell'Alimentazione 12 ottobre 2005
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L'Eucarestia e l'amore
"Prendete e mangiate, questo è il mio corpo..bevetene tutti, questo è il mio
sangue" (Mt 26,26-27). Le parole di Gesù nel Cenacolo anticipano la sua morte e
manifestano la coscienza con cui Egli l'ha affrontata, trasformandola nel dono
di sé, nell'atto d'amore, nel perdono, nella reciproca accoglienza e
nell'attenzione ai bisogni di tutti. Tante e molteplici sono le forme del
servizio che possiamo rendere al prossimo nella vita di ogni giorno.
L'Eucarestia diventa così la sorgente dell'energia spirituale che rinnova il
mondo nell'amore di Cristo. Esemplari testimoni di questo amore sono i santi
(..) Prima e più di tutti i santi , la carità divina ha colmato il cuore della
Vergine Maria. Dopo l'Annunciazione, spinta da Colui che portava in grembo, la
Madre del Verbo incarnato si recò in fretta a visitare e aiutare la cugina
Elisabetta. Preghiamo perché ogni cristiano, nutrendosi del Corpo e del Sangue
del Signore , cresca sempre più nell'amore verso Dio e nel servizio generoso ai
fratelli.
Angelus, 25 settembre 2005
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La pulizia dell'anima
E necessario confessarsi prima di ogni Comunione eucaristica (.) soltanto nel
caso che hai commesso un peccato realmente grave, che hai offeso profondamente
Gesù, così che l'amicizia è distrutta e devi rincominciare di nuovo. Solo in
questo caso, quando si è in peccato "mortale", cioè grave, è necessario
confessarsi prima della Comunione. (.) anche se, come ho detto, non è
necessario confessarsi prima di ogni Comunione, è molto utile confessarsi con
una certa regolarità. E' vero, di solito i nostri peccati sono sempre gli
stessi, ma facciamo pulizia delle nostre abitazioni, delle nostre camere,
almeno ogni settimana, anche se la sporcizia non si vede, ma si accumula. Una
cosa simile vale anche per l'anima, per se stesso, se non mi confesso mai,
l'anima rimane trascurata e, alla fine, sono sempre contento di me e non
capisco più che devo anche lavorare per essere migliore, che devo andare
avanti. E questa pulizia dell'anima., che Gesù ci dà nel Sacramento della
Confessione, ci aiuta ad avere una coscienza più svelta, più aperta e così
anche di maturare spiritualmente e come persona umana. Quindi due cose:
confessarsi è necessario soltanto in caso di un peccato grave; ma è molto utile
confessarsi regolarmente per coltivare la pulizia, la bellezza dell'anima e
maturare man mano nella vita.
Incontro di Catechesi e preghiera con i bambini della Prima Comunione, 15 ottobre 2005
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L'Eucarestia e il sacerdote
In particolare, il mio pensiero va quest'oggi ai sacerdoti, per sottolineare che
proprio nell'Eucarestia sta il segreto della loro santificazione. In forza
della sacra Ordinazione, il sacerdote riceve il dono e l'impegno di ripetere
sacramentalmente i gesti e le parole con i quali Gesù, nell'Ultima Cena,
istitui il memoriale della sua Pasqua. Tra le sue mani si rinnova questo grande
miracolo d'amore, del quale egli è chiamato a diventare sempre più fedele
testimone e annunciatore. Ecco perché il presbiterio dev'essere sempre prima
adoratore e contemplativo dell'Eucarestia, a partire dal momento stesso in cui
la celebra. Sappiamo bene che la validità del Sacramento non dipende dalla
santità del celebrante, ma la sua efficacia, per lui stesso e per gli altri,
sarà tanto maggiore quanto più egli lo vive con fede profonda, amore ardente,
fervido spirito di preghiera. Nella nostra epoca, spicca poi la figura di San Pio da Pietrelcina.
Celebrando la santa Messa, egli riviveva con
tale fervore il mistero del Calvario da edificare la fede e la devozione di
tutti. Anche le stigmate, che Dio gli donò, erano espressione di intima
conformazione a Gesù crocifisso. Ci rivolgiamo ora a Maria, pregando in modo
speciale per i sacerdoti del mondo intero, affinché possano sempre vivere e
testimoniare il mistero che è posto nelle loro mani per la salvezza del mondo.
Angelus, 18 settembre 2005
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"Gaudete", l'Amato è vicino
In una vita così tormentata come era la sua, una vita piena di persecuzioni, di
fame, di sofferenze di tutti i tipi, tuutavia una parola chiave rimane sempre
presente: "gaudente". Nasce qui la domanda : è possibile quasi comandare la
gioia? La gioia , vorremmo dire, viene o non viene, ma non può essere imposta
come un dovere. "Gaudete, iterum dico gaudente quia Dominus prope est". Qui
sentiamo il motivo del perché Paolo in tutte le sofferenze, in tutte le
tribolazioni, poteva non solo dire agli altri "gaudete" : lo poteva dire perché
in lui stesso la gioia era presente "gaudente Dominus enim prope est". Se
l'amato, l'amore, il più grande dono della mia vita, mi è vicino, se posso
essere convinto che colui che mi ama è vicino a me, anche in situazioni di
tribolazione, rimane nel fondo del cuore come la gioia che è più grande di
tutte le sofferenze.
L'apostolo può dire"gaudente" perché il Signore è vicino ad ognuno di noi. E
così questo imperativo in realtà è un invito ad accorgersi della presenza del
Signore vicino a noi. Non essere sordi a Lui, perché le orecchie dei nostri
cuori sono talmente piene di tanti rumori del mondo che non possono sentire
questa silenziosa presenza che bussa alle nostre porte. Riflettiamo, nello
stesso momento, se siamo realmente disponibili ad aprire le porte del nostro
cuore; o forse questo cuore è pieno di tante altre cose che non c'è spazio per
il Signore e per il momento non abbiamo tempo per il Signore. E così,
insensibili, sordi alla sua presenza, pieni di altre cose, non sentiamo
l'essenziale: Lui bussa alla porta, ci è vicino e così è vicina la vera gioia,
che è più forte di tutte le tristezze del mondo, della nostra vita.
Discorso, lunedì 3 ottobre
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Alla vigna infedele il giudizio
Il giudizio annunciato dal Signore Gesù si riferisce soprattutto alla
distruzione di Gerusalemme nell'anno 70. Ma la minaccia di giudizio riguarda
anche noi, la Chiesa in Europa, l'Europa e l'Occidente in generale. Con questo
Vangelo il Signore grida anche nelle nostre orecchie le parole che
nell'Apocalisse rivolse alla chiesa di Efeso: "Se non ti ravvedrai, verrò da te
e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto" (2,5). Anche a noi può essere
tolta la luce, e facciamo bene se lasciamo risuonare questo monito in tutta la
sua serietà nella nostra anima, gridando allo stesso tempo al Signore: Aiutaci
a convertirci! Dona a tutti noi la grazia di un vero rinnovamento! Non
permettere che la tua luce in mezzo a noi si spenga! Rafforza tu la nostra
fede, la nostra speranza e il nostro amore, perché possiamo portare frutti
buoni!". A questo punto però sorge in noi la domanda: "Ma non c'è nessuna
parola di conforto? E' la minaccia l'ultima parola? No! La promessa c'è, ed
essa è l'ultima, l'essenziale parola. "Io sono la vite, voi i tralci. Chi
rimane in me e io in lui, porta molto frutto" Gv 15,5. Con queste parole del
Signore, Giovanni ci illustra l'ultimo, il vero esito della storia della vigna
di Dio. Dio non fallisce. Alla fine egli vince, vince l'amore.
Omelia 2 ottobre 2005
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